Sto leggendo il libro di Crainz sulla storia degli ultimi settant’anni in Italia (Guido Crainz, Storia della Repubblica, Donzelli editore).
Quello che mi colpisce profondamente è il fatto che negli anni Sessanta, anzi, nella seconda metà degli anni Cinquanta, si sentiva le stesse identiche lamentele sul cambiamento della società che si sentono adesso: l’ansia del cambiamento unita alla minaccia della vuotezza di senso, la rottura dei vecchi solidi leegami di famiglia o di amicizia in cambio di una vita vorticosa e superficiale. Ciò che a quell’epoca innescava tutto era, naturalmente, la televisione.
A quanto pare, la nostra società ha già vissuto lo scontro e la rottura epistemologica legate all’irrompere di un nuovo medium: e non ha imparato nulla. Non si è vaccinata. Non ha imparato a evitare gli errori più marchiani e (viceversa) a sfruttare la massimo le opportunità. Perché? Eppure intellettuali e artististi scrivevano con grande lucidità su questi argomenti. è vero che noi adesso leggiamo queste cose attraverso il filtro dello storico, che SAPENDO come sarebbe andata a finire ha facile gioco a evidenziare proprio quei testi che, guarda caso, anticipavano le dinamche futura. Eppure resta il fatto che queste intuizioni c’erano. Allora perchè abbiamo ripetuto, stiamo ripetendo, gli stessi errori?